Genova Anni '60


1957 – 2017:   GENOVA E LA CEE SESSANTA ANNI FA’
 
 

 

Quando la seconda Guerra Mondiale ebbe termine, molte voci autorevoli – tra cui quella del Primo Ministro inglese Winston Churchill – si levarono per auspicare la creazione degli Stati Uniti d’Europa. Fu un sogno ad occhi aperti il solo poter pensare di annullare le tante rivalità tra gli Stati europei che portavano inevitabilmente ai conflitti. Subito il pensiero si rivolgeva principalmente all’Alsazia e alla Lorena, da sempre oggetto di liti e dispiaceri tra Francia e Germania, che passavano di mano all’uno o all’altro dei contendenti dopo ogni conflitto. Terre di confine contese, abitate da etnie promiscue e fonti continue di rivendicazioni per la mancanza di diritti delle minoranze.

Pur esistendo il Patto Atlantico per la difesa dell’Europa a guida americana in antitesi militare con l’URSS, nel 1952 venne siglato un altro Patto militare denominato CED Comunità Europea di Difesa limitato agli Stati Italia, Francia, Germania Ovest e Benelux. Doveva essere il primo passo verso l’unificazione di una politica comune europea dei sei Stati Membri e invece naufragò per le mancate ratifiche parlamentari da parte francese ed italiana.

Però nel 1951 il dado dell’unificazione era stato ormai lanciato con la creazione della CECA Comunità Europea del Carbone e Acciaio con sede a Strasburgo - proprio nella contestata Alsazia-Lorena -  che aveva unificato le materie prime siderurgiche franco-tedesche mettendole a disposizione anche degli altri Stati aderenti.

E così la strada dell’unificazione, fallita partendo dal piano militare con la CED, dimostrò la validità del progetto iniziale di integrazione economica quale primo passo per giungere all’obiettivo degli Stati Uniti d’Europa, come vaticinato anche dal Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli. In Europa c’era il Muro di Berlino, la guerra fredda, l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Unione sovietica e i contraccolpi provenienti dalla nazionalizzazione del Canale di Suez.

Genova trasse subito vantaggio dalla politica comune siderurgica della CECA, che la mise in condizione di procacciarsi le materie prime in regime preferenziale e diventare così un produttore esportatore di acciaio. I prodotti dell’Italsider erano ormai richiesti in tutto il mondo – compresi gli Stati Uniti – e tanta era la richiesta che venne costituita la commerciale Siderexport che forniva le lamiere anche alla costruttrice automobilistica tedesca BMW.

La firma del Trattato di Roma, che istituiva la Comunità Economica Europea dei sei Stati Membri già facenti parte della CECA, avvenne il 25 Marzo 1957. La strada da compiere era immensa e la sede della nuova Europa da unire fu stabilita a Bruxelles, capitale del Belgio che era diviso tra due gruppi culturali differenti in continuo conflitto tra loro: valloni e fiamminghi. Una situazione di contrasti e contraddizioni che erano comuni a tutti gli Stati Membri con la speranza di poterli comporre e adattare in una piccola Europa allargata.

A Genova l’entusiasmo toccò con caratteri cubitali i quotidiani genovesi, ma non con eccessivo entusiasmo l’opinione pubblica dato che la città si trovava già per conto suo in pieno boom economico e sociale.  Genova la Superba era uno dei vertici del magico Triangolo Industriale con Milano e Torino, era la Capitale dell’Industria IRI, mentre il porto gareggiava con Marsiglia per il predominio mediterraneo.

Genova era allora la piazza più importante per l’import italiano soprattutto di materie prime. Qui avevano sede le principali società petrolifere – tra cui le internazionali Esso Standard Italiana, la Shell e la Mobiloil – l’Italia di Navigazione, che era la più importante delle quattro Società armatoriali di Stato, gli Armatori Liberi, gli Agenti Marittimi, Fornitori navali, Provveditorie marittime, le Riparazioni navali e una fitta rete commerciale rappresentata da Case di Spedizione, Assicurazioni, Case di Import-Export, Agenti di Case Estere, Periti. E infine ben 48 Consolati Generali o Onorari esteri. Una potenza economica che aspirava a raggiungere gli 800.000 abitanti con nuove opere pubbliche in corso tra cui l’Aeroporto sul mare, la Fiera Internazionale, il nuovo quartiere di Portoria e quello a levante attorno alla nuova strada Pedemontana oggi Corso Europa.

Il punto debole dell’emporio genovese era però l’isolamento  autostradale che soffocava lo sviluppo dell’intera regione ligure, dotata solo della vecchia autocamionale dei Giovi, mentre il crescente fenomeno della motorizzazione paralizzava la circolazione dei mezzi cittadini. Per percorrere quel centinaio di metri rappresentato dalle due gallerie tra Piazza Corvetto e Piazza della Nunziata nelle ore di punta  si impiegavano 45 minuti tra un sonoro concerto di clacson. E Callisto Bagnara, modesto venditore di calzature e Assessore al Traffico, vi stava coraggiosamente attuando l’introduzione di innovativi e contrastati sensi unici.

Altro handicap era dato dalla mancanza di aree per nuovi insediamenti industriali per le quali si stavano tuttavia avviando soluzioni Oltre-appennino. La Circoscrizione Doganale di Genova era la più importante d’Italia ed era oberata di dichiarazioni doganali che rallentavano lo scorrimento delle merci. Di conseguenza il porto si intasava e nei fine settimana anche 40 navi stazionavano in rada in attesa dell’accosto. Si cercavano soluzioni  per spostare i controlli doganali delle merci in transito a Rivalta Scrivia perché ormai varie Case di Spedizioni avevano trovato strade alternative nei porti anseatici dove le merci scorrevano più speditamente risparmiando sui costi. In aggiunta, anche l’Armamento era toccato dalle nuove norme della concorrenza europea perché sulle grandi linee di traffico - come ad esempio le rotte tra il Mediterraneo, Golfo del Messico e Nord America - esistevano cartelli internazionali chiamati Conferenze Marittime che annullavano la concorrenza sui noli praticati dagli aderenti, subendo inoltre quella dei tramps che erano fuori Conference.

Pure l’Italia conosceva il suo boom con alti e bassi della propria moneta, che con grande coraggio era entrata nelle regole dell’Unione Europea dei Pagamenti, dove si era impegnata a fluttuare entro termini fissi con le altre valute europee tra cui Sterlina e Marco. Ma il commercio internazionale era  fortemente condizionato dalle politiche protezioniste, dai dazi doganali, dai clearings, dalle compensazioni globali e così via. Commerciare con l’estero era molto difficile e non era da tutti. Gli stessi Grandi Magazzini milanesi per rifornirsi dei prodotti esteri si appoggiavano alla ventina di Case di Import Export genovesi - che ne detenevano il know how - perché oltre ad aver dimestichezza con le lingue estere e conoscenza dei mercati, erano addentro nelle complicate operazioni che riguardavano l’ottenimento di licenze, gli abbinamenti merceologici per le compensazioni, la disponibilità di valuta, le spedizioni, le formalità e divieti, le aperture di credito, etc. Ad esempio una ditta produttrice lombarda di macchine agricole che avesse voluto vendere in Sud America non poteva perché il compratore non aveva valuta per pagare l’importazione. L’Accordo di compensazione globale prevedeva però tutta una serie di altri prodotti sudamericani in contropartita. In pratica si suppliva con il baratto ma ci voleva la Casa genovese che aveva rapporti con una pluralità di importatori, e poteva così coinvolgere un importatore di semi oleosi, di carni o di concimi per lo stesso importo delle macchine agricole, e così l’affare andava a conclusione. La piazza di Genova diffondeva a buon diritto il suo vecchio slogan: “Genuensis, ergo mercator”.

Mariano Trombetta, importatore di caffè e allora Presidente della Camera di Commercio genovese, tenne una Conferenza nel minuscolo Circolo Ufficiali di Via San Vincenzo all’indomani della firma del Trattato di Roma e mise in evidenza i grandi vantaggi che sarebbero derivati all’Italia e Genova da questa Unione di Stati che inizialmente appariva come Unione doganale, grazie all’abbattimento dei dazi doganali e delle licenze di import dei Sei, per le quali era stabilito un periodo transitorio di 12 anni in tre tappe. Va detto che il prodotto italiano più protetto era l’automobile che interessava Torino e che la nostra Casa produttrice era anche accusata di vendere in dumping sul mercato americano cioè al di sotto del costo di produzione grazie al surplus di prezzo praticato sul mercato interno protetto in regime di quasi monopolio. Anche i prodotti agricoli erano protetti sia da norme fitosanitarie che doganali: ad esempio lo zucchero genovese dell’Eridania era tassato al 100 per 100. Affioravano anche timori per ciò che sarebbe potuto succedere  a seguito dell’abbattimento delle protezioni daziarie per le piccole aziende. Genova aveva anche il problema del monopolio del lavoro portuale che privilegiava la Compagnia Unica e che era in contrasto con l’abbattimento dei monopoli, regole di concorrenza e diritto di stabilimento. Trombetta concluse che l’Italia era molto in ritardo rispetto al Nord Europa per cui dall’obbligo di rispettare i Regolamenti e le Direttive comunitarie avrebbe avuto finalmente l’occasione di apportare le nuove riforme europee in tutti i  settori della vita nazionale dove noi eravamo ancora in forte arretrato”.

Il resto d’Europa rimase alla finestra mentre l’Austria si tirò fuori perché bloccata dal Trattato di  Pace, la Svizzera e Svezia opposero la loro neutralità secolare perché i Paesi del  Blocco comunista compresa la Repubblica  Democratica Tedesca - che aderivano al COMECON - interpretavano il nuovo Organismo in funzione anti URSS, mentre la Gran Bretagna non voleva rinunciare ai vantaggi delle sue preferenze tariffarie con i Paesi del Commonwealth.

Ben presto nacque nel 1960 in funzione anti CEE la Zona di Libero Scambio (EFTA) per iniziativa inglese, cui aderirono Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera e Regno Unito. Pertanto alla fine degli anni ’50 - quando c’era la Cortina di ferro, l’URSS aveva invaso l’Ungheria, la Cina non faceva parte delle Nazioni Unite e il Canale di Suez, nazionalizzato dall’Egitto, era impraticabile - l’Europa era divisa in 3 Blocchi: CEE, EFTA e COMECON (URSS e Paesi satelliti).   

Nei riguardi dei Paesi in via di sviluppo vigeva allora un impegno dei Paesi sviluppati nell’ambito ONU di versare l’uno percento del proprio reddito nazionale ma tale impegno era assai poco rispettato. L’Italia raggiungeva lo 0,70 percento. Nei confronti dei Paesi e Territori degli ex possedimenti francesi, olandesi, belgi e della Somalia, che era ancora sotto amministrazione fiduciaria italiana, il Trattato di Roma stabiliva l’associazione per cui beneficiavano di finanziamenti e i loro prodotti godevano di esenzioni doganali.

Già dopo i primi anni di vita della CEE si intravvedevano i benefìci realizzati dall’economia italiana, stimolata della concorrenza europea dei Sei: l’economia era cresciuta dal 5 percento all’8 percento, i consumi moltiplicati insieme alla produttività, e il Paese da agricolo era diventato un Paese industriale. L’operaio italiano andava al lavoro con la Fiat 600 - anche se le ore di sciopero registravano sempre nuovi record - mentre nell’Est prevaleva la bicicletta e in Cina, non solo la bicicletta, ma tutti erano vestiti con una uguale dimessa confezione popolare.

Fatte queste premesse, avvenne che nel 1962 la CEE propose al Prof. Bruno Minoletti, Segretario Generale della Camera di Commercio, l’incarico di Direttore Generale per la Politica comune dei Trasporti. Fu un grande onore per l’ente camerale genovese e il Prof. Minoletti accettò e propose alla Giunta - d’accordo con la CEE - che la mia persona, Segretario della Sezione Commercio Estero, potesse partecipare in qualità di stagiaire per tre mesi negli Uffici comunitari per documentarmi sui problemi e sulle materie di interesse per l’economia genovese.

A Bruxelles - rimessa a nuovo dall’Esposizione Universale che vi aveva avuto luogo nel 1958 -  rimasi positivamente impressionato dalle ampie strade a senso unico dove ordinatamente scorreva il traffico senza il caos nostrano, regolato dai semafori intelligenti, e dagli autoparcheggi sotterranei a più piani. Ma nel quotidiano dei 2200 dipendenti della CEE mi meravigliò di vedere le segretarie disponibili a servire ai Capi la consumazione del coffee break con conseguente lavaggio delle tazze, e gli ascensori sempre in movimento senza le portine ai piani della sede di Rue de la Loi, per cui vi si doveva entrare e uscire con un balzo. In luoghi publici si potevano incontrare facilmente Personaggi famosi come il Re di Maggio Umberto di Savoia, Capi di Governo o potevi trovare seduto a teatro qualche fila dietro a te, il Re Baldovino dei Belgi.

Dentro la Comunità mi era stata concessa la più ampia libertà di movimento e gli appuntamenti per le mie interviste erano presi dalla Segreteria del Sen. Giuseppe Caron, Commissario italiano per il Mercato Interno. Gli alti Funzionari CEE mi hanno sempre riservato una cordiale accoglienza senza preoccuparsi minimamente della durata dei colloqui. Le materie che ho approfondito sono state: circolazione delle merci, eliminazione dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative, armonizzazione delle legislazioni doganali, tariffa esterna comune, diritto di stabilimento, concorrenza e posizione dominante, monopoli, aiuti degli Stati all’export, politica cantieristica italiana, accordo di associazione con i TOM Territori Oltremare ex belgi, olandesi e francesi, rapporti con i Paesi Latino Americani, trattative in corso con la Gran Bretagna.

Quando gli Stati Membri furono invitati ad inviare propri Funzionari per realizzare questa grande opera comune, in Italia la rivalutazione salariale dei dipendenti pubblici era già avvenuta e frenò le adesioni dei migliori elementi che in maggioranza preferirono rimanere nei loro comodi uffici romani anziché affrontare il freddo clima europeo. Anche la poca conoscenza delle lingue francese o tedesca era stata determinante. E così ho trovato il personale italiano a Bruxelles di secondo ordine e di conseguenza incaricato di compiti altrettanto declassati. In tali condizioni, fin che il  Funzionario esplicava le sue mansioni alle dipendenze di un Direttore italiano, l’handicap poteva anche risolversi in maniera soddisfacente perché la lingua prevalentemente usata era quella italiana, ma quando il Direttore o il Capo di Divisione era di altra nazionalità, erano facilmente immaginabili le difficoltà che il nostro Funzionario doveva affrontare per stendere un rapporto tecnico in una lingua non sua. Francesi, tedeschi e olandesi non solo erano favoriti dalla perfetta conoscenza delle lingue ufficiali comunitarie, ma anche dalla facilità con cui potevano raggiungere Bruxelles. Basti pensare che già a quei tempi per il percorso da Parigi a Bruxelles c’era la Grande Velocità - i velocissimi treni T.G.V. - che impiegavano meno di due ore annullando le distanze e dimezzando i tempi.

L’Italia, che alla firma del Trattato era uno dei tre Grandi, ora era diventato il terzo Membro ed era insidiata dall’Olanda perché aveva distaccato nel nascente Organismo Funzionari non sempre preparati - magari i soliti raccomandati dalle Personalità politiche - e spesso provocando trasferimenti a Bruxelles di Funzionari che faceva comodo togliere dalla carriera romana per favorire l’avanzamento della scala gerarchica inferiore. Già allora i nostri Funzionari che intervistavo parteggiavano per l’esito felice delle trattative per l’ingresso della Gran Bretagna nella CEE onde ridurre il crescente peso politico franco-tedesco e in caso negativo auspicavano intese con il Benelux. Le lamentele riguardavano poi i diversi Ministeri di Roma, anche se non tutti, che a differenza degli altri Stati Membri  non rispettavano le scadenze stabilite per la presentazione di rapporti, proposte, pareri etc. provocando disfunzioni e ritardi, e naturalmente le solite considerazioni sulla scarsa serietà del modo di lavorare italiano.

Documenti di base fondamentali di lavoro venivano presentati - oltre che in ritardo - anche incompleti e con correzioni a penna biro ingenerando perplessità a chi li doveva esaminare e ritrasmettere alle altre Delegazioni e Uffici. In compenso i Funzionari ministeriali che giungevano da Roma per le riunioni preliminari erano ben preparati, ma essendo pochi e sempre gli stessi, erano costretti a studiarsi le pratiche durante il viaggio a causa delle frequenti trasferte. E in gioco c’erano interessi immensi che implicavano una lotta occulta per far prevalere i propri punti  di vista nazionali. Un piccolo esempio di tendenze egoistiche nazionali: nell’armonizzazione dei titoli di studio, i tedeschi pretendevano di includere il titolo di Capomastro edile tra i titoli equipollenti a quello dell’Architetto. Un Diploma (tedesco) equivalente ad una Laurea (italiana).

Le Delegazioni estere erano molto più numerose delle nostre per cui non si comprendeva se i nostri Esperti erano pochi oppure c’era la manovra di impedire che nuovi Funzionari venissero ammessi nel giro redditizio delle trasferte.

Pochissime le Funzionarie femminili italiane, brave le stenografe e dattilografe, e ottime le interpreti in simultanea. Le dipendenti femminili male sopportavano il distacco da casa per le condizioni climatiche e soprattutto per l’ambiente diverso in cui dovevano vivere, preferendo rientrare in Italia dopo breve permanenza e rinunciare a quel posto privilegiato.

Come stagiaire ho avuto la possibilità non solo di studiare dal di dentro la nuova creazione europea, ma anche di avere visite e contatti con l’Euratom, la Rappresentanza Permanente italiana presso la CEE, e partecipare ad una riunione congiunta a Strasburgo tra il Parlamento Europeo e il Consiglio d’Europa.

La Gazzetta Ufficiale della CEE in italiano era poco conosciuta e ancora meno consultata in Italia malgrado riportasse in continuazione l’avanzamento di tutti i lavori che si svolgevano a Bruxelles ed era anche l’unico mezzo per i giovani di effettuare un tirocinio in funzione di una successiva assunzione. Ce ne erano tanti stagiaires a Bruxelles, anche di Paesi Terzi e africani, ma solo il dieci percento provenivano dall’Italia. Anche questa, una leggerezza con la quale inizialmente l’Italia aveva affrontato la costruzione europea.                                                                                                                
rodolfo decleva     

vedi  Rivista trimestrale "A Compagna" n.2  Aprile - Giugno 2019

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