FIUME
Dal Corpus
Separatum ungherese 1779
all’annessione
italiana del 1924
PREMESSA
La storia più recente di
Fiume si fa datare dal 1719 quando la città ottiene da Carlo VI d’Asburgo la
patente di Porto Franco con gli stessi privilegi e franchigie di Trieste.
Il successivo 23 Aprile 1779 –
Maria Teresa d’Austria - in riconoscimento della sua funzione di Municipio autonomo da secoli composto da una
popolazione in maggioranza italiana – la città viene sottratta da qualsiasi
dipendenza dal Regno di Croazia in quanto Corpo Separato della Corona
d’Ungheria e governata da un Governatore nominato da Budapest.
Nel 1848, per colpa dei moti
rivoluzionari anti-asburgici non solo a Milano e Venezia, ma anche in Ungheria,
la rivolta del liberale Lajos Kossuth determina il distacco e l’indipendenza dell’Ungheria
dall’Austria. Il diciottenne Francesco Giuseppe – che in quell’anno aveva
assunto il governo dell’Impero – affidò al Conte Josip Jelacic’ l’incarico di
riportare l’ordine costituzionale e Jelacic’ sconfisse gli insorti con 40.000
soldati di nazionalità croata. Nei 17 mesi della ribellione ungherese, Fiume purtroppo
aveva parteggiato con Kossuth, lusingata dalla promessa di vedersi costruito un
porto moderno, e così fu punita dall’Imperatore che annullò il “Corpus
Separatum”. Fiume passò pertanto per vent’anni sotto amministrazione croata
difendendo e conservando tuttavia la sua identità italiana sino al 1867 quando
nacque la nuova Austria-Ungheria perché la precedente armonia tra i due popoli
si era ricomposta.
E così Fiume riacquistò
l’antica autonomia perduta grazie al Compromesso del 7 Novembre 1868 tra
Ungheria e Regno di Croazia-Slavonia dove i relativi rapporti legislativi e
amministrativi avrebbero dovuto essere stabiliti di comune accordo tra il
Parlamento ungherese, la Dieta croato-slavona e la città di Fiume. Ma ai
fiumani non andava bene il terzo incomodo e cioè la compartecipazione della
Dieta croato-slavona nell’amministrazione cittadina e così fu necessario un
Regio Rescritto del 2 Luglio 1870 per riaffermare – sia pur in attesa di un
Accordo definitivo – la diretta dipendenza di Fiume dall’Ungheria senza essere
soggetta all’intermediazione delle Autorità croate. Questo Regio Rescritto era
dunque provvisorio, ma nei fatti durò per 48 anni fino alla caduta dell’Impero
nel 1918 dando poi il destro alla futura Jugoslavia di rivendicare diritti su
Fiume.
FIUME UNGHERESE
Era Podestà il fiumano
Giovanni de Ciotta che attuò per Fiume uno strepitoso sviluppo economico nei
settori stradale e cioè la Strada Carolina e la Strada Giuseppina, ferroviario
(il troncone per i traffici verso Trieste e l’Italia sino a San Pietro del
Carso, e la linea ferrata in pendenza Fiume-Karlovaz, che assicurava il
collegamento con la rete magiara e con i mercati del Centro Europa orientale),
industriale (stabilimenti industriali di alta tecnologia quali il Silurificio,
il Cantiere Navale, la Raffineria Petroli, marittimo (capolinea di linee di
navigazione) e commerciale (import-export e credito), l’acquedotto e un nuovo
Piano Regolatore con costruzione di importanti edifici storici e residenziali a
cura dell’Arch. Giacomo Zamattio, triestino. Il Porto Franco venne ampliato con
nuovi moli, rive, magazzeni (opere all’avanguardia che consentivano il
contemporaneo lavoro nave-vagone-deposito anche in caso di pioggia), linee
ferroviarie interne, attrezzature e la diga foranea (sino ad allora di 250
metri), mentre per l’importante traffico dei legnami fu realizzato l’adiacente
Porto Baross. Pure altri piccoli porti furono costruiti per le necessità del
silurificio, del cantiere navale e della raffineria petroli. La città conobbe
anche una notevole crescita demografica, conservando sempre gelosamente la sua
impronta italiana nel quadro di una civile convivenza con le altre numerose
etnie, soprattutto croati e magiari, che numerosi affluivano a Fiume, attratti
dalla crescente offerta di lavoro. Inizialmente l’Ungheria era molto tollerante
verso questa identità italiana della cittadinanza e i rapporti fiumano-magiari
erano ottimi con il Delegato di Fiume eletto nella Dieta di Budapest, che
poteva esprimersi nella lingua di Dante. Purtroppo, verso la fine del ’800
questi buoni rapporti fiumano-magiari si modificarono a causa di una nuova
politica di Budapest verso Fiume, che introdusse nuove limitazioni
nell’esercizio della Giustizia e “riforme” intese a magiarizzare la città,
considerata debitrice verso l’Ungheria per il benessere ricevuto. In primis
l’obbligo della lingua ungherese nelle scuole superiori e successivamente una
Polizia di Stato accanto a quella comunale.
SI GUARDA
ALL’ITALIA
All’inizio del nuovo secolo
le spinte nazionaliste dei sudditi dell’Impero austro- ungarico cominciarono a
scalfire più apertamente l’ordinamento unitario, anche se spesso tollerante,
dell’Impero e in questo quadro la pressione croata si distingueva tra le altre.
In Dalmazia molte amministrazioni italiane erano già state sostituite da quelle
croate per causa dell’efficace propaganda slava.
A Fiume politicamente
dominava e governava su tutti il Partito Autonomo - guidato da Michele
Maylender - già Sindaco di Fiume dal 1897al 1899 cui successe Riccardo Zanella,
che con il suo motto “Fiume ai Fiumani” guardava principalmente alla
conservazione dei privilegi del Corpus Separatum con l’Ungheria, pur restando
severo vigile nella difesa dell’identità italiana della città. Ma dalla fine
del cosiddetto Idillio ungaro-fiumano, cominciò a crescere anche un movimento
irredentista fiumano che guardava all’Italia, formato dai ceti più abbienti e
culturalmente più affermati, con lo scopo di sensibilizzare la Nazione madre
sui problemi dell’italianità presente da secoli a Fiume sognando un giorno di
poter vedere la città annessa al Regno d’Italia.
Già nel 1893 - in
contrapposizione con la Sala di Lettura croata (Narodna Citaonica) istituita
durante il banato del Conte Jelacic’ - fu fondato il “Circolo Letterario Fiume”
con lo scopo di organizzare biblioteche popolari e conferenze, alle quali
venivano invitati i migliori letterati e poeti italiani al fine di conservare e
affermare l’identità storica della città.
Poi nel 1905, a somiglianza
delle recente costituzione della “Giovine Italia” nella penisola, sorse la
“Giovine Fiume” per l’organizzazione di manifestazioni di italianità come ad
esempio gite a Ravenna per rendere omaggio alla tomba di Dante e nel contempo
rappresentare una ferma opposizione al crescente attivismo croato e protestare
vibratamente contro l’istituzione dell’insegnamento della lingua ungherese
nelle Scuole Superiori.
Al risveglio politico in
senso italiano della cittadinanza fiumana si accompagnò un analogo movimento
nazionalista della minoranza croata ispirato al Hrvatski Narodni Preporod
(Risorgimento Popolare Croato), molto attivo nel vicino sobborgo di Sussak,
situato al di là del fiume Eneo e interamente abitato da croati. Un altro
movimento in crescita croato - anch’esso molto sviluppato a Sussak - era quello
dei Sokol, che erano circoli ginnici (precursori dello scoutismo inglese) che
attraverso l’educazione fisica miravano a creare un’ideologia panslavista e
quindi a prò della croatizzazione di Fiume, ma a Fiume - dove i croati erano in
netta minoranza, rappresentando appena il 20 percento della popolazione - essi
preoccupavano soprattutto per l’appoggio e gli aiuti che ricevevano da fuori.
LA GRANDE GUERRA
1915-1918
Francesco Giuseppe governava
l’Impero Austro-Ungarico dal 1848 e dopo la parentesi dei moti d’Ungheria
sedati nel 1867, aveva assicurato al suo popolo multietnico un relativo periodo
di pace e lavoro nel quale i suoi sudditi lo contraccambiavano con una sincera
fedeltà e obbedienza. Fu nel 1914 che quel momento magico della Casa Asburgo e
dell’Austria Felix si interruppe quando a Sarajevo venne assassinato il
Principe Ereditario Francesco Ferdinando, provocando così l’entrata in guerra
dell’Austria contro la Serbia il 28 Luglio 1914 e conseguentemente - per il
gioco delle Alleanze - l’inizio della I Guerra Mondiale.
L’Italia era legata
all’Austria dal Trattato della Triplice Alleanza (Germania, Austria-Ungheria e
Italia) firmato a Vienna il 20 Maggio 1882 che però era difensivo, ragion per
la quale l’Italia preferì rimanere neutrale e non intervenire. E infatti rimase
neutrale per un anno.
Nel 1915, siccome l’occasione
era favorevole per una ulteriore acquisizione delle terre irredente ancora in
mano all’Austria, l’Italia aderì il 26 Aprile 1915 alla Triplice Intesa con
Francia, Inghilterra e Russia firmando in segreto il Patto di Londra che - in
caso di vittoria – avrebbe garantito - oltre a vantaggi in Dalmazia e isole, il
possesso definitivo del Dodecanneso e Libia, e un bacino carbonifero in Turchia
- anche Trento, Trieste e tutta l’Istria fino al Quarnero escludendo Fiume che
veniva assegnata ai croati.
I fiumani vennero richiamati
alle armi per prestar servizio sia nella Honved ungherese che nel 97°
Reggimento Fanteria austro-ungarico composto da soldati giuliani e trentini di
nazionalità italiana. I fiumani nella Honved si coprirono di gloria mentre il
97° provocò la prima grossa sconfitta dell’Armata sul fronte russo nella Galizia
carpatica buttando le armi o disertando subito al primo scontro il 26 Agosto
1914. Colpa delle diverse lingue di comando che rendevano difficile il rapporto
umano, o forse la breve e affrettata preparazione a 29 giorni dalla
Dichiarazione di Guerra. Ma forse precipitati in una guerra cruenta senza
sapere il perchè né il percome. D’altronde, il nomignolo affibbiato al
Reggimento era “Reggimento Demoghela” che in dialetto triestino significava
“diamocela a gambe” mentre i furlani si rincuoravano dicendo “Se i vien,
scampim; se no, battim dur”.
Si calcola che almeno 25.000
soldati trentini, triestini, istriani, fiumani e dalmati di lingua italiana e
facenti parte dell’esercito austro-ungarico vennero fatti prigionieri dai russi
e concentrati a Kirsanoff. Per tale motivo, dopo l’entrata in guerra nel 1915,
l’Italia decise di inviare in Russia, ormai alleata, il Colonnello dei
Carabinieri Marco Cosma Manera con lo scopo di convincere questi poveri soldati
ad arruolarsi nella appena costituita “Missione Militare Italiana”, raggiungere
il fronte italiano e combattere per liberare le terre italiane ancora sotto il
giogo austriaco. La vita nei campi di prigionia russi era pura lotta per la
sopravvivenza caratterizzata da fame, freddo, neve che copriva i tetti, pidocchi,
malattie, nessun futuro e perciò non fu difficile trovare le adesioni di questi
disperati che con l’opzione per la nazionalità italiana accettarono di cambiare
la divisa austriaca col grigioverde italiano. 4.000 rientrarono via porto di
Arcangelo ma gli altri furono bloccati dai ghiacci e dovettero affrontare le
conseguenze della Rivoluzione russa dividendosi tra Vladivostok in Siberia e la
Concessione Italiana di Tientsin in Cina, potendo far ritorno a Fiume appena
nel 1920.
.
LA
VITTORIA MUTILATA
Dopo quattro anni di duri scontri, quando
l’andamento della guerra volgeva male per l’Austria-Ungheria, il nuovo
Imperatore Carlo d’Asburgo, succeduto a Francesco Giuseppe, istituì nuove
regioni slave includendovi anche Fiume, privandola dello status di Corpus
Separatum dell’Ungheria, e ciò provocò il famoso discorso di Andrea Ossoinack,
Deputato fiumano alla Dieta di Budapest, che disse nel suo discorso in
italiano: “Ritengo mio dovere di protestare qui alla Camera, in faccia al
mondo, contro chiunque volesse assegnare Fiume ai Croati perché Fiume non
soltanto non fu mai croata, ma anzi fu italiana nel passato e tale rimarrà
nell’avvenire”. Di colpo la situazione stava precipitando e il 28 Dicembre 1918
il Governatore ungherese Zoltan Jekel-Falussy decise di abbandonare la città e
perciò passò le consegne al Podestà Antonio Vio con l’intesa di trasmetterle al
Comitato Nazionale Croato di Sussak, appena costituito a Sussak oltre ponte.
Tali consegne non ebbero seguito perché l’amministrazione fiumana della città
aveva deciso a sua volta di costituire anch’essa un Consiglio Nazionale
Italiano, avvenuta il 29 Ottobre 1918 sotto la Presidenza di Antonio Grossich,
la quale nel giorno successivo emanò il Proclama con il quale - invocando il
diritto di autodecisione - proclamò Fiume unita alla sua Madrepatria, l’Italia.
Poiché nel frattempo forze
militari croate avevano preso possesso della città e insediato quale Bano
Supremo l’Avv. Riccardo Lenac, il Consiglio Nazionale inviò in Italia cinque
giovani per chiedere aiuto che sono ricordati come gli “Argonauti del Carnaro”-
e la loro missione ebbe successo dato che l’Italia immediatamente inviò le
tanto attese navi della Regia marina italiana di guerra: i tre
cacciatorpediniere “Stocco”, “Sirtori”, “Orsini” e l’incrociatore “Emanuele
Filiberto” con lo scopo di proteggere la cittadinanza italiana. Il 17 Novembre
seguirono reparti dell’Esercito italiano - comandati dal Gen. Enrico Asinari di
San Marzano, che issarono sul Palazzo del Governatore il tricolore sloggiando
gli amministratori croati che vennero sostituiti dal Consiglio Nazionale. A
questa mossa italiana seguì l’arrivo di altri contingenti di parte americana,
inglese e francese ma di origine coloniale.
In città si opponeva alle
ambizioni croate, che erano spalleggiate dalle truppe francesi, Riccardo
Zanella, che era succeduto a Maylender alla guida del Partito Autonomo e
impersonava politicamente la difesa dell’italianità della città nel quadro
della sua autonomia. La situazione si faceva di giorno in giorno sempre più
critica e in parallelo con gli scontri fra le opposte fazioni italiana e
croata, crescevano anche quelli tra i militari presenti.
Il 29 Giugno 1919 vi furono 9
morti nel contingente francese e a seguito di questo grave evento venne sciolto
il Consiglio Nazionale italiano, quello che il 30 Ottobre aveva proclamato
l’annessione all’Italia, e soprattutto da Parigi-Roma giunse l’ordine di
togliere da Fiume il Reggimento dei Granatieri di Sardegna, che era una
garanzia politica per i fiumani, che fu spostato a Ronchi. Sette Ufficiali del
Reggimento - visti i tentativi inutili di emissari fiumani recatisi a Roma per
perorare l’annessione - scrissero alla Medaglia d’Oro Gabriele D’Annunzio,
eroe, mutilato di guerra, interventista, poeta, scrittore e drammaturgo - di
assumere un’iniziativa per non abbandonare l’italianissima città di Fiume,
vittima di una “Vittoria mutilata”.
Nel frattempo a Parigi la
Delegazione italiana partecipante ai lavori della Conferenza della Pace aveva
deciso di ritirarsi e tornare in Italia per protesta contro il Presidente
americano Woodrow Wilson, colui che nei 14 Punti aveva messo in evidenza
l’autodeterminazione dei popoli e che ora rifiutava di prendere in
considerazione i contenuti del Patto di Londra per avversione verso le intese
segrete mentre per Fiume vedeva una soluzione a parte, inserita nella
Jugoslavia ma con uno Statuto speciale sotto l’egida della Società delle
Nazioni.
L’ IMPRESA
DI GABRIELE D’ANNUNZIO
Prese così il via la “Marcia
di Ronchi” che portò D’Annunzio a Fiume il 12 Settembre 1919 tra l’acclamazione
della folla e l’adesione di parte dell’esercito regolare, che apertamente
disobbedì agli ordini di sparare . Quello stesso giorno D’Annunzio confermò il
Proclama di annessione all’Italia fatto dal Consiglio Nazionale il 30 Ottobre
1918 a dispetto del Governo di Roma, presieduto da Francesco Saverio Nitti che
- disapprovando l’avventura dannunziana - invocava il rispetto del Patto di
Londra (Fiume alla Jugoslavia) e minacciava i Legionari di procedere con il
loro deferimento ai Tribunali Militari, ma erano azioni destinate a rimanere
inascoltate. Anzi altri tre battaglioni di bersaglieri, che assediavano la
città, passarono con viveri e salmerie agli ordini di D’Annunzio.
Contemporaneamente il Gen.
Vittorio Emanuele Pittaluga, Comandante delle forze interalleate a Fiume,
lasciava la città insieme agli altri contingenti stranieri. La cittadinanza -
che aveva scampato alla tragedia di venire croatizzata - era tutta per
D’Annunzio anche se stretta nella morsa di una situazione economica e
alimentare stagnante e molto difficile causata da blocchi navali e terrestri.
Tra altalenanti trattative,
il nuovo Governo italiano di Francesco Saverio Nitti inviò una nuova proposta a
D’Annunzio nella quale - ribadendo che l’annessione di Fiume non era al momento
realizzabile - si impegnava di impedire il passaggio di Fiume ai croati e che
ne avrebbe decretato l’annessione in un momento successivo più favorevole.
Il 15 Dicembre 1919 il
Consiglio Nazionale – ripristinato nelle sue funzioni da D’Annunzio - approvò
con 48 voti favorevoli e 6 contrari la nuova proposta italiana, che nei fatti
avrebbe portato alla fine dell’esperienza dannunziana, ma il referendum che la
segui’ - nettamente favorevole al suo accoglimento da parte dei fiumani - fu
annullato per intervento dei Legionari con la motivazione di “provate
irregolarità”. Il quesito del Referendum al Popolo fiumano era: “È da
accogliersi la proposta del governo italiano dichiarata accettabile dal
Consiglio Nazionale nella seduta del 15 dicembre 1919, sciogliendo Gabriele
d’Annunzio e i suoi Legionari dal giuramento di tenere Fiume fino a che
l’annessione non sia decretata e attuata?”
A causa di questa imprevista
battuta d’arresto, l’Italia attuò un inasprimento del bocco navale e terrestre
della città peggiorando fortemente la situazione della popolazione ridotta alla
fame. La risposta di D’Annunzio fu immediata sia in terra che per mare
consentendo ai suoi Legionari di copiare le gesta degli antichi pirati
Uscocchi, quelli che - dopo aver depredato le galere veneziane - trovavano
rifugio nel Canale della Morlacca. E così venivano svaligiati vagoni ferroviari
delle mercanzie più urgenti che servivano a Fiume e soprattutto dirottate navi
sia mercantili che militari – con la complicità degli equipaggi - ottenendo
congrui riscatti. Famose le navi “Persia” e il “Cogne”, entrambe dirottate e
giunte in porto a Fiume forzando il rigido blocco navale.
Ma è a questo punto che
iniziò a scemare l’entusiasmo fiumano per l’Impresa dannunziana temendo che
altri interessi stessero subentrando accanto ai suoi scopi iniziali. In Italia
la situazione politica stava cambiando e quella sociale era in grande fermento
dove il Partito fascista si andava diffondendo. L’incontro avvenuto tra il
Comandante e Benito Mussolini – anche se giustificato dalla necessità di
procurare fondi per le esauste casse fiumane - induceva a tali conclusioni. E
anche la “Lettera ai Dalmati” pubblicata
il 14 Gennaio 1919 su “Il Popolo d’Italia” e la susseguente visita al Governatore
in Dalmazia Enrico Millo del Novembre 1919 con l’intenzione di portare anche in
Dalmazia un nuovo intervento, apriva nuove incognite.
Il 15 maggio 1920 cadde in
Italia il Governo Nitti cui successe Giovanni Giolitti, anche lui esigente al
massimo del rispetto del Patto di Londra per la questione che riguardava Fiume.
D’Annunzio - visto il continuo diniego romano di accogliere nel suo grembo
l’italianissima Fiume - il 12 Agosto 1920 proclamava la “Reggenza Italiana del
Carnaro”, una entità indipendente dove D’Annunzio dichiarava di governare per
conto del Re d’Italia anche col suo rifiuto, e la Reggenza era estesa anche
alle isole di Veglia e Arbe, che vennero occupate dai Legionari.
Contemporaneamente D’Annunzio promulgava una Costituzione chiamata “La Carta
del Carnaro” - avveniristica per quei tempi - che prevedeva l’esaltazione del
lavoro, e anticipava nei tempi la parità dei sessi, il diritto di voto a uomini
e donne, il diritto allo studio, la previdenza sociale, l’Habeas corpus. In ciò
aiutato dal sindacalista Alceste De Ambris, Capo di Gabinetto del suo Governo.
Il Comandante o Poeta-Soldato - come era chiamato D’Annunzio a Fiume - aveva
passato il segno.
Perciò Italia e Jugoslavia –
allora Regno dei Serbi, Croati e Sloveni - si accordarono per superare
l’impasse e firmarono il Trattato di Rapallo del 12 Novembre 1920 col quale
regolavano le proprie relazioni, e in merito a Fiume decidevano di rinunciare
alla città e costituire lo Stato Libero e Indipendente di Fiume sotto la loro
garanzia, che si estendeva dal fiume Eneo a levante fino a Volosca a ponente,
“impegnandosi a rispettarlo in perpetuo”.
Il nuovo Stato fiumano fu
subito riconosciuto da tutti gli Stati più importanti del mondo e ciò obbligò
il Governo romano a passare dalle parole ai fatti inviando un Ultimatum che fu
disatteso da D’Annunzio. Anzi, la risposta che giunse dalla Reggenza del
Carnaro fu che le ostilità sarebbero iniziate dalle ore 18 del 23 Dicembre
1920.
Si giunse così
all’inevitabile scontro fratricida. L’attacco iniziò il 24 Dicembre 1920 con il
cannoneggiamento del Palazzo del Governo dove risiedeva il Comandante da parte
della corazzata “Andrea Doria” e gli scontri si protrassero sino al 29 Dicembre
con 54 morti tra i soldati regolari e i Legionari, e fra i morti ci furono
anche alcuni civili. Nei cinque giorni di scontri ci furono pure 207 feriti,
cinque ponti ferroviari distrutti e centinaia di case danneggiate.
Gabriele D’Annunzio ordinò la
sospensione delle ostilità, raccolse pietosamente tutti i morti nelle loro
bare, coperte da un’ unica bandiera tricolore, e fece davanti a Loro e a una
moltitudine fiumana in lacrime il suo toccante discorso di cordoglio.
Quell’evento fu conosciuto e
ricordato come il “Natale di Sangue” dove fratelli contro fratelli si batterono
per la città Olocausta. Egli lasciò per sempre Fiume il 18 Gennaio 1921
ritornando su quella stessa storica “Via di Santa Entrata” dalla quale era
arrivato con i suoi Legionari partendo da Ronchi, quando tutti i fiumani lo
acclamarono festosi, i Bersaglieri in armi del Gen. Vittorio Emanuele Pittaluga
si rifiutarono di sparargli, e i Marinai d’Italia si unirono a lui trasgredendo
agli ordini.
Sulla mesta strada del
ritorno, trovò a Cantrida - distese sulla strada per impedire a lui e ai
Legionari di lasciare la città Olocausta - le Donne fiumane con fiori e in
lacrime. Quella fu l’ultima espressione della febbre fiumana per l’Italia e per
il Comandante.
FIUME STATO LIBERO E INDIPENDENTE
Chi propose per primo la
creazione dello “Stato Libero e Indipendente di Fiume” fu il Presidente degli
Stati Uniti Woodrow Wilson, che al termine della Grande Guerra era stato
chiamato con funzioni di arbitro a risolvere i contrasti tra Regno d’Italia e
Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (la futura Jugoslavia nel 1929), che entrambi
volevano Fiume, ma che nel Patto segreto di Londra del 26 Aprile 1915 l’Italia
aveva ignorato lasciandola ai croati. Infatti nel 1915 Francia, Russia e
G.Bretagna avevano garantito all’Italia in caso di vittoria sull’Impero
Austro-Ungarico Trento, Trieste e tutta
l’Istria fino al Quarnero, ma con una nota avevano stabilito nello stesso
Documento che “l’intera costa dalla Baia di Volosca ai confini dell’Istria fino
alla frontiera settentrionale della Dalmazia, compresa la costa che è attualmente
ungherese e l’intera costa della Croazia con il Porto di Fiume”, andavano assegnate
alla Croazia.
Il Presidente Wilson era
sensibile alla questione fiumana sia perché Fiume era un caso a sé per il suo
secolare regime di autonomia e anche perché nell’opinione pubblica americana
era diffusa la constatazione che i fiumani mai vollero diventare croati come
appariva da un studio compiuto da Henry I. Hazelton nel 1919, che aveva messo
in evidenza l’identità italiana della città, composta per il 65% da cittadini
di lingua italiana, e solo 22% croati. Nel libro americano era fortemente
rimarcato come la città - pur non appartentente all’Italia e malgrado inglobata
geograficamente nell’area croata - fosse rimasta italiana per oltre 1000 anni.
Quando ormai l’Impresa
dannunziana cominciata il 12 Settembre 1919 volgeva al termine e si era
prossimi alla fine del sogno dannunziano, i Ministri degli Esteri Carlo Sforza
per l’Italia e Ante Trumbic’ per il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni firmarono
il Trattato di Rapallo in data 12 Novembre 1920 con il quale entrambi
decidevano di rinunciare a Fiume per costituire lo Stato Libero e Indipendente
di Fiume sotto la loro garanzia, e stabilendo per il porto di Fiume una
funzione commerciale utile per tutta l’Area balcanica e il Centro-Europa
orientale.
Partito Gabriele D’Annunzio
il 18 Gennaio 1921, non c’erano più scontri tra Dannunziani ed Esercito
regolare, ma tra fiumani Irredentisti, Legionari e Dannunziani rimasti da una
parte e i fiumani autonomisti dall’altra parte, che avevano coniato il motto
“Fiume ai Fiumani” in nome della secolare autonomia della città non solo sotto
la corona ungherese, e che vedevano nello Stato Libero l’apice per le loro
aspirazioni.
Anche gran parte della
popolazione era per la nuova prospettiva che si presentava per la città perché
era spaventata dalle nuove proposte sociali e libertarie, che avevano fatto
affluire in città anarchici, comunisti, fascisti, intellettuali, esaltati di
ogni genere oltre che giovani affascinati dal cambiamento che originava
dall’esperimento fiumano. Un mondo foresto, disordinato e violento che niente
aveva da spartire con i fiumani e che vi avevano facile accesso non essendo
controllati i confini malgrado i blocchi navale e terrestre. La stessa
sicurezza dei cittadini si sentiva seriamente pregiudicata. Inoltre i Legionari
cominciavano a simpatizzare per le nuove idee fasciste che arrivavano da
Trieste e dalla Toscana.
A capo degli autonomisti
c’era Riccardo Zanella, leader del Partito Autonomista costituito da Michele
Maylender nel 1896 durante il periodo ungherese, che nel contempo era anche
garanzia della identità italiana dei fiumani perchè all’inizio anche Zanella
era stato favorevole alla Proclamazione del 30 Ottobre 1918 da parte del
Consiglio Nazionale Italiano per l’annessione all’Italia.
In data 24 Aprile 1921 i
fiumani furono chiamati ad un referendum pro o contro lo Stato Libero. Quando
in città si sparse la notizia che stavano vincendo gli autonomisti, gli Irredentisti
guidati da Riccardo Gigante - già Sindaco di Fiume nel periodo dannunziano – e
fascisti triestini guidati da Francesco Giunta invasero i seggi e bruciarono le
urne, ma il gesto fu inutile perché i Verbali delle votazioni erano già in mano
notarile.
Riccardo Zanella vinse in
città con 4482 voti contro 3318 e nel territorio fiumano i voti furono 1632
voti contro 122: in totale, 6114 fiumani a favore dello Stato Libero contro
3440 per l’annessione all’Italia.
Fu una vittoria schiacciante
grazie anche ai croati fiumani e ai fiumani di altre nazionalità che votarono
per lo Stato Libero per non diventare italiani. Ma passarono solo pochi altri
giorni e gli Irredentisti con un colpo di mano si impadronirono del Municipio
nominando un Governo Eccezionale con a capo Riccardo Gigante. Questo fatto costrinse gli esponenti
dell’autonomia a fuggire a Buccari (Bakar) nella vicino territorio croato. Era
il 27 Aprile 1921, ma il fermo intervento del Commissario Straordinario Caccia
Dominioni, in rappresentanza del Governo italiano, indusse Gigante a sospendere
la violenta illegalità e consegnare il potere a Salvatore Bellasich subito il
giorno successivo.
Si procedette quindi alla
formazione di un Governo Provvisorio dello Stato Libero e finalmente il 5
Ottobre 1921 si giunse alla nomina di una Assemblea Costituente che elesse a
Presidente Riccardo Zanella, il quale trovò da subito il suo compito molto
difficile non solo per il boicottaggio degli Irredentisti in seno alla
Costituente, ma anche per la difficoltà di reprimere i disordini che
quotidianamente scoppiavano in città. L’incidente più grave avvenne il 27
Giugno 1921 quando si venne a sapere che il Porto Baross (scalo legnami del
porto di Fiume) e il Delta dell’Eneo sarebbero stati assegnati alla futura Jugoslavia
in cambio della sua rinuncia su Fiume. Ci furono 5 morti tra i civili, uccisi
dagli Alpini italiani, tra cui il giovane Glauco Nascimbeni, al quale poi venne
intitolata una strada.
Purtroppo i lavori
dell’Assemblea Costituente proseguivano con lentezza e le difficoltà erano
quotidiane a causa dei boicottaggi dannunziani, mentre gli scontri e le
violenze giornalmente aumentavano. Nei primi tre mesi 1922 la situazione
precipitò: il 28 Febbraio la Guardia fiumana di Zanella uccise in uno scontro
il Legionario Alfredo Fontana, il primo Marzo fu sequestrato dai fascisti un
giovane fiumano e il 2 Marzo venne ucciso da ignoti un giovane fascista pisano.
E ciò in aggiunta a tante altre violenze.
Tutti questi disordini erano
concertati dagli oppositori dello Stato Libero e in particolare dal Ten.
Ernesto Cabruna, Medaglia d’Oro per memorabili azioni di battaglie aeree nel
corso della Grande Guerra, e in seguito Medaglia d’Oro al Valore Fiumano. Era
stato Gabriele D’Annunzio ad affidargli l’incarico di operare a Fiume per
completare positivamente l’Impresa iniziata a Ronchi. E così il Ten. Cabruna il
3 Marzo 1922 organizzò un’azione armata contro Zanella prendendo spunto
dall’uccisione del Legionario Fontana.
Dopo 6 ore di disperata
resistenza, quando le cannonate dei rivoltosi stavano arrivando sul Palazzo del
Governatore, il Presidente Riccardo Zanella si arrese e dopo avere firmato due
lettere di dimissioni fu prelevato e portato a Pola insieme al suo Ministro
dell’Interno Mario Blasich. Qui fu poi rimesso in libertà e attraverso varie
peripezie egli si ricongiunse con i circa 2.000 autonomisti che si erano
rifugiati in territorio croato a Buccari, oltreponte vicino a Sussak, per
sfuggire alle violenze fasciste. A seguito di un nuovo attentato,
fortunatamente sventato contro la sua persona, Zanella e i suoi si spostarono a
Portorè (Kraljievica) dove rimasero in precarie condizioni economiche.
Si concluse così la breve
vita dello Stato Libero fiumano nato il 12 Novembre 1920, vittima di un Colpo
di Stato orchestrato dagli Irredentisti fiumani, supportato in massima parte
dal neo costituito Fascio triestino, con l’intervento di tre Deputati del
Parlamento italiano ( G.B. Giuriati, Alberto De Stefani e Francesco Giunta) e
con la connivenza delle Forze militari italiane alle quali erano affidati
l’ordine e la protezione.
Il Presidente Riccardo
Zanella non rientrò mai più a Fiume. Visse a Belgrado sino all’assassinio di Re
Alessandro di Jugoslavia e - non sentendosi più al sicuro perché controllato in
quanto antifascista - si trasferì a Parigi. Con la caduta della Francia nella
seconda Guerra Mondiale, venne arrestato su segnalazione di Roma e internato
nel Campo di Disciplina di Le Vernet nei Pirenei per 13 mesi, dove anche un
altro fiumano, Leo Valiani, aveva fatto la stessa esperienza. Al termine del secondo
conflitto mondiale si trasferì a Roma dove cercò di salvare le sorti della
nostra sfortunata città. Costitui’ un Ufficio di Fiume in Via dei Giustiniani 5
a Roma, ma con scarso successo. 25 anni
di forzato esilio da Fiume e il silenzio imposto dal Regime sulla sua opera,
avevano azzerato il suo ricordo. Morì in povertà nel Campo Profughi di
Trastevere.
1924 L’
ANNESSIONE ALL’ ITALIA
Decaduto de facto lo Stato
Libero a seguito del colpo di Stato del 3 Marzo 1922 e continuando i disordini,
l’Italia inviò a Fiume il Gen. Gaetano Giardino in qualità di Governatore con
il compito di garantire l’ordine pubblico. Nel frattempo Benito Mussolini, che
era diventato il Capo del Governo di Roma, iniziò il dialogo con il Regno dei
Serbi Croati e Sloveni per risolvere l’appartenenza della città contesa e la
spuntò con il Trattato di Roma del 27 Gennaio 1924, sottoscritto tra i due
Stati, che congiunse Fiume all’Italia in cambio del Porto Baross e Delta
dell’Eneo, e dei territori e isole dalmati tra cui Sebenico e Knin, che
avrebbero dovuto diventare italiani e dove già si era insediato il Governatore
Enrico Millo. Vi rimase all’Italia solo l’enclave di Zara.
Riccardo Zanella e i suoi,
scappati oltre il “Ponte”, erano già dimenticati e l’annessione di Fiume rappresentò
per l’Italia anche il compimento dell’Unità d’Italia. Il primo cambiamento fu
il colore delle cassette postali che dal giallo divenne rosso, poi vennero le
“stevore”, tasse sconosciute o lievi sotto Franz Joseph, che si dovevano pagare
all’ Esattoria delle Imposte di Palazzo Modello. Anche l’Aquila dannunziana -
quella con una testa mozzata dai Legionari - cambiò la testa perchè arrivò
l’Aquila romana ed il Fascio, cui i Fiumani aderirono spontaneamente. Anche il
Calendario cambiò perchè vide aggiungersi l’Era Fascista in lettere romane, che
era iniziata nel 1922, e in seguito verrà abolito anche il nostro rispettoso
Lei.
Sua Maestà il Re d’Italia
arrivò il 25 Marzo 1924 e fu accolto dal nostro patriota e scienzato Antonio
Grossich, inventore della tintura di jodio.
Fu allestito un pomposo Arco
di Trionfo e davanti al popolo festante, Grossich - che già il 30 Ottobre 1918
aveva presieduto il Consiglio Nazionale Italiano proclamando Fiume unita alla
Madrepatria - consegnò a Vittorio Emanuele III le Chiavi della Città.
Finalmente dopo sei anni
dalla fine della guerra, l’incertezza, i disordini e il caos erano terminati e
con essi la paura di diventare croati.
La Marcia di Ronchi e
l’Impresa di D’Annunzio non erano state vane. E da Venezia arrivò in dono il
Leone di San Marco, monumento marmoreo, che venne posato in testata del Molo
Adamich, che dava il nome anche alla collegata grande piazza. Da quel momento
il Molo si chiamò Molo San Marco e la Piazza Adamich fu battezzata Piazza
Dante.
Ai zanelliani - esuli nel
vicino territorio croato dal 1922 tra cui mio padre - fu consentito di fare
rientro a Fiume annessa ormai all’Italia, in qualità di apolidi assoggettandosi
ad un fermo in Prefettura per la firma di un atto di sottomissione e la domanda
al Prefetto per ottenere la nazionalità italiana.
Essi dimenticarono presto lo
Stato Libero e la loro avversione per l’annessione, constatando che c’era per i
loro figli un futuro migliore di quello che avevano avuto loro con Franz Joseph,
mentre quelli che erano rimasti contrari e che rimpiangevano la libertà
perduta, si guardavano bene dall’esprimersi per paura di essere traditi sia da
parte di amici esaltati che dalla stessa famiglia.
In cambio, c’era l’ordine,
poca delinquenza in giro mentre i treni arrivavano in orario. La minoranza
magiara rientrò in silenzio in Patria e il loro esodo non fu notato dai fiumani
distratti e mai se ne parlò, nemmeno dell’Ungheria, che aveva rimodellato la
città e portato benessere con la costruzione del porto, delle industrie e delle
vie di comunicazione stradali e ferroviarie. I Latini la chiamavano “Damnatio
memoriae” e anche noi a Fiume la applicammo alla lettera.
La minoranza croata a Fiume -
insediata soprattutto nelle periferie di Drenova, Santa Caterina e San Nicolo’
- fu tollerata, ma non perseguita pur che rispettosa del nuovo ordine
costituito, però l’antica convivenza - che aveva regnato durante
l’amministrazione austro-ungarica secondo cui l’Imperatore era al di sopra di
tutti e le varie nazionalità convivevano pacificamente tra loro - era ormai un
ricordo molto lontano. I cognomi in ich venivano italianizzati soprattutto per
quelli che lavoravano negli Uffici pubblici, mentre i matrimoni misti - che
avevano contribuito allo sviluppo economico e demografico della città – erano
progressivamente sostituiti dall’arrivo dei regnicoli necessari alla nuova
burocrazia amminsitrativa. Continuavano come prima invece le “mlecarize” - le donne del contado croato
che scendevano a Fiume per vendere latte, uova, carne, etc. – le quali conservavano
titolo a parlare croato, e grazie a loro molta gioventù fiumana iniziò a balbettare
anche qualche frase del locale dialetto croato come si conviene in ogni città
di confine.
Rodolfo Decleva
Sunto della Conferenza tenuta il 4 Maggio 2019 a Novegro MI presso la Fiera "Militalia".
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